Nel 1703, nella più completa solitudine delle carceri della Bastiglia, moriva un uomo destinato forse anonavere mai un nome. La Maschera di Ferro, come venne ribattezzato da Voltaire, è stato, è esarà uno dei più grandi interrogativi della storia di Francia. Chi era costui? Quale uomo sarebbe stato così pericoloso da meritare una simile tortura?

Noi abbiamo la risposta: era un Uomo. Potrebbe sembrare una risposta semplicistica ma a pensarci bene apre tanti, ma proprio tanti interrogativi. La maschera per definizione è qualcosa che cela, nasconde la realtà, crea mistero e attesa. La maschera è seduzione, amore per l’ignoto, un brivido di piacere elettrizzante che ci permette di essere e non essere, prendere le sembianze di chiunque, giocare con il mondo circostante. Ma dietro c’è sempre un Uomo, fatto di carne e ossa, di cuore, muscoli e sentimenti. “Dietro questa maschera c’è un uomo e tu lo sai. L’uomo di una strada che è la stessa che tu fai” cantava Renato Zero nel lontano 1974. Eh si, perché dietro una maschera siamo tutti uguali, non esistono più le differenze: la maschera ci permette di evadere dalla realtà, anche di camminare lungo una strada con uno sconosciuto. Si fa la stessa strada, si borbotta insieme, ci si cela dietro una maschera entrambi.

Il problema sorge quando ci si toglie la maschera. La disabilità non è una maschera, non possiamo scegliere di essere disabili per un giorno, una settimana o un mese e poi smettere. Il tema della festa di Carnevale 2018 all’Opera Don Guanella di Roma era “Diversi…ma non troppo”. Quando siamo uguali noi normodotati con i disabili? In questo caso con disabili mentali? Quando siamo noi stessi o quando indossiamo una maschera? Essere noi stessi, a volte, nel nostro mondo, è veramente difficile. Non possiamo essere noi stessi se non che in poche occasioni. Siamo noi ad indossare sempre una maschera: quando quella del lavoratore diligente, quando quella del truffatore, quando quella del bravo padre di famiglia o quella del Casanova di turno.

I nostri buoni figli, invece, operano al contrario: sono schietti sempre, sono sempre loro stessi. Tranne quando indossano una maschera. Allora possono diventare clown e pagliacci, macchine scavatrici, extraterrestri, topi, diavoli o angeli. Cosa ci accomuna quindi? L’essere Uomo. Eh si, perché dietro ogni maschera, come aveva cantato Renato Zero, c’è sempre un uomo, un uomo fatto di carne ed emozioni. Sono le emozioni che danno colore alle nostre giornate, che illuminano la nostra vita: è la gioia per un figlio, il dolore per una perdita, l’amore di due giovani, la tenerezza di un bambino. Qualche anno fa Simone Cristicchi cantò a Sanremo che “I matti sono punti di domanda senza frase . Migliaia di astronavi che non tornano alla base. Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole. I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole”. Matti o buoni figli? Quale termine è political correct? Chi li chiama matti li ferisce nel profondo del cuore, si dimentica della questione di fondo, dell’arch di tutto: prima di tutto sono Uomini. Uomini e donne che affrontano ogni giorno la vita con un sorriso, con un abbraccio, secondo schemi che ci possono sembrare fuori dal mondo, certo, ma i loro sentimenti riportano quelle navicelle sempre ad una base. Sono apostoli che parlano solo un’altra lingua, che si esprimono in maniera diversa. Sono apostoli che però pensano e hanno un cuore anche loro, un cuore che batte, forte, pieno di amore e speranza, forse anche odio e rancore, pieno a volte di gioia e dolori e così via. Nessun dio li ha mai ripudiati, tanto meno noi al Don Guanella. La nostra festa di oggi è stata vissuta all’insegna della gioia, del gioco, della più sfrenata allegria. Oggi ho visto la vita, la grandiosa voglia di vita che trabocca da queste maschere. Venite a trovarci, la nostra casa è sempre aperta: troverete un abbraccio e tanto affetto. Qui potete essere chiunque vogliate, senza dover indossare mai una maschera: un buon figlio vi prenderà comunque per mano per camminare insieme…

-Luca Perrone

Categories: varie